Quel che vi serve sapere: dopo la sconfitta del Dottor Crocodile il Wakanda deve occuparsi della propria ricostruzione e di quella delle nazioni vicine a cui ha assicurato la propria collaborazione.

A New York, intanto T’Challa, nei panni del Leopardo Nero, ha anche lui i suoi problemi.

 

 

 

Immagine che contiene Carattere, Elementi grafici, tipografia, clipart

Descrizione generata automaticamente

 

Di Carlo Monni

(con tanti ringraziamenti a Carmelo Mobilia e Mickey)

 

 

Capitolo 23

 

Conseguenze

 

 

Palazzo Reale del Wakanda.

 

M’Koni finì di indossare il costume della Pantera Nera e si rimirò per qualche istante allo specchio prima di infilarsi il cappuccio sul volto.

L’aspettava una giornata impegnativa ma, per quanto seccante fosse, era parte dei suoi doveri come sovrana del Wakanda e non aveva scelta.

Si mise la maschera ed uscì dagli appartamenti reali.

Ayo ed Aneka, le due Dora Milaje addette alla sua sicurezza personale, la stavano aspettando puntuali.

<Possiamo andare.> disse, sperando di sembrare disinvolta.

<Mi auguro che dopo gli ultimi eventi tu abbia avuto un riposo sereno, mia Signora.> le disse Ayo.

M’Koni sorrise sotto la maschera e rispose:

<Diciamo di sì. Ma non parliamo di me. Tu ed Aneka avete fissato la data del matrimonio?>

<Con tutto quello che è successo, non abbiamo avuto il tempo di pensarci.>

<Beh, ora potete e mi auguro che lo farete alla svelta.>

Pochi minuti bastarono per raggiungere il piccolo eliporto allestito sul tetto del Palazzo Reale dove stava atterrando un piccolo ed agile velivolo. Ne scesero; un uomo anziano ma ancora robusto che indossava una pelle di leone, una donna anche lei non più giovanissima e decisamente robusta che vestiva una tunica leggera ed infine un ragazzo appena adolescente che, senza perdere tempo, corse incontro a M’Koni per poi fermarsi a pochi centimetri da lei e dire semplicemente:

<Ciao, mamma.>

M’Koni sorrise. Suo figlio Billy, o T’Chanda com’era chiamato in Wakanda, aveva ormai raggiunto quell’età in cui i figli considerano infantili troppe smancerie con i genitori, ma lei non aveva di questi problemi e l’abbracciò.

<Sono felice che tu sia di nuovo qui.> disse.

<Anch’io.> si lasciò sfuggire Billy, poi si sottrasse all’abbraccio.

<Com’è andata?> chiese ancora M’Koni.

<Bene, direi. La valle del Gorilla Bianco è… interessante. Il capo, M’Baku, mi ha accompagnato a fare un giro. È un tipo strano, ma non mi è sembrato cattivo. È vero che ha tentato di uccidere T’Challa?>

<Beh… sì. Una volta o due.> rispose M’Koni.

<Anche tre o quattro> borbottò il vecchio Zuri.

<Non meno di cinque, secondo me.> soggiunse la sua quasi coetanea Zuni.

Entrambi scoppiarono a ridere.

Billy li guardò perplesso. I vecchi sono strani, pensò.

 

 

Una stanza di hotel nella capitale.

 

La ragazza poteva avere forse 25 anni, capelli castani chiari, fisico snello, lineamenti regolari. La si poteva tranquillamente definire molto attraente, anche se certamente non appariscente.

Era appena uscita dalla doccia e si stava vestendo con cura.

Katherine “Kitty” Walker non aveva alcuna intenzione di presentarsi in disordine alla conferenza stampa congiunta della Pantera Nera e del Dottor Joshua N’Dingi, un evento più unico che raro.

Ripiegò con cura il suo costume violetto e lo infilò nella sua sacca che poi mise a tracolla. Era sempre meglio averlo a portata di mano in caso di bisogno.

Il Wakanda non era ancora un capitolo chiuso per l’ultima dei Phantom.

 

 

Rockaway Beach, Queens, New York City.

 

L’Agente Speciale dell’I.C.E.[1] Katherine Carter stava sul terrazzo dell’unico appartamento occupato di un condominio con vista sulla spiaggia ed inseguiva i propri pensieri quando una voce alle sue spalle disse:

<Le ho portato un caffè.>

A parlare era stata una giovane ed attraente donna dai capelli biondi, ma di una sfumatura più intensa di quella di Katherine, che indossava un abito senza maniche che le arrivava fino a poco sopra il ginocchio. Aveva un portamento da modella e non era sorprendente visto che lo era stata fino a pochi anni prima.

Katherine prese la tazza e disse:

<Grazie. Non doveva, Mrs. Dinu.>

<Mi annoiavo… e mi chiami Angela. Non voglio più sentire quel cognome, non dopo aver scoperto chi è veramente mio marito e come si guadagna da vivere. Lei penserà che sono stata una vera ingenua ad averlo capito solo ora.>

<A volte l’amore ci rende ciechi. Vediamo solo quello che ci piace vedere.>

<L’amore o l’ambizione. Lo ammetto: mi piaceva essere la moglie di un uomo ricco, avere una bella casa, un autista, un esercito di cameriere, una scuola esclusiva per mio figlio. Non volevo sapere. Non ho voluto vedere la verità finché non me l’hanno sbattuta in faccia.>

<Non si butti troppo giù… Angela. È stata solo umana.>

<Ma che bel quadretto.>

Sulla terrazza era arrivata anche il Tenente Molly von Richthofen della Divisione Buoncostume della Polizia di New York. Alta, segaligna, viso spigoloso ed espressione sempre ingrugnita come se fosse perennemente arrabbiata con il mondo il che, forse, non era troppo lontano dal vero.

<Spero di non disturbare nulla.> commentò in tono sarcastico.

<Cosa avresti dovuto disturbare?>  chiese Katherine in tono troppo ingenuo per essere vero.

<Nulla, ovviamente. Ma passiamo alle cose serie. Tu e Mrs… Angela… non potrete  restare qui per sempre, specie con il bambino. Dobbiamo pensare ad una soluzione permanente.>

<Forse posso offrirla io.>

Le tre donne volsero lo sguardo verso quella voce e videro due figure in costume balzare sul terrazzo. Il Leopardo Nero ed Okoye erano arrivati sulla scena.

 

 

Birmin Zana, Capitale del Wakanda. Sede dell’Ambasciata Britannica.

 

Il giovanotto non dimostrava nemmeno vent’anni. Era alto, fisico atletico, capelli scuri ed occhi grigi. Si presentò all’ingresso della rappresentanza diplomatica del Regno Unito, disse il proprio nome e cognome, poi aggiunse:

<Mi è stato detto che sono atteso dal Vice Console Generale.>

<Oh sì> disse un funzionario appena arrivato <Mi segua, la prego.>

Il giovane seguì l’uomo lungo un corridoio al termine del quale il suo accompagnatore si fermò davanti ad una porta e bussò.

<Avanti.> disse una voce di  donna:

Il funzionario aprì la porta e mentre si spostava disse:

<L’Onorevole John Clayton è arrivato, Lady Croft.>

<Grazie, Sanders. Può lasciarci soli adesso,>  rispose la donna alzandosi dalla scrivania e stringendo la mano al nuovo arrivato.

Si chiamava Amelia Croft, Baronessa Croft di Wickenham, per la precisione. Era sui 45 anni o forse più. ma ancora attraente, capelli castani, elegante tailleur blu. Parlava  con il tipico accento delle classi altolocate. Aveva sicuramente frequentato una di quelle esclusive e costosissime scuole private britanniche come la Lambrook,[2] giudicò il giovane.

Aveva sentito parlare di lei. Era vedova, il marito, Conte di Wickenham era scomparso anni prima nel corso  una spedizione archeologica in circostanze non del tutto chiarite e l’aveva lasciata con un discreto patrimonio in eredità ed una figlia che era sempre in giro per il mondo. Se non ricordava male era stata anche allieva di sua zia Jane all’Università.

Lady Croft non era la tipica nobile britannica come se la immagina molta gente: era una diplomatica di carriera ed era stata ricompensata per i suoi servigi da uno dei precedenti governi britannici con il conferimento di un titolo nobiliare a vita. Si era da poco insediata come Vice Console Generale e prima era stata…

Il corso dei pensieri del giovane fu interrotto dalla voce di Lady Croft:

<Si starà chiedendo perché l’ho fatta venire qui, Mr. Clayton.>

<In effetti, sì.> replicò lui sedendosi davanti alla donna.

<Suppongo che sappia che suo padre, il Barone Clayton, era alla guida di una spedizione scientifica nella Terra Selvaggia.>

<Sì. È partito quando io ero già in Africa ed è assieme a mia zia Jane, che è un’antropologa. Gli è successo qualcosa?>

<A dire il vero, non ne siamo sicuri. Pare sia disperso in mare, ma non ne sappiamo di più perché subito dopo le comunicazioni si sono interrotte e non è stato possibile ripristinarle. Le attuali condizioni metereologiche impediscono l’acceso alla zona antartica. A tutti gli effetti la Terra Selvaggia è più isolata che mai.>

L’espressione del ragazzo era abbastanza eloquente: sconcerto, dolore, amarezza, ma anche qualcos’altro, una specie di determinazione.

<Mi dispiace averle dovuto dare questa notizia.>

<La ringrazio della sua cortesia Ma’am.> replicò il ragazzo <Ora, però, mi scuserà, ma devo andare: ho una madre con cui parlare ed un padre da ritrovare.>

<Che intende fare?>

<Non lo so ancora con certezza, ma una cosa la posso dire fin d’ora: non resterò fermo ad aspettare.>

 

 

Sala del Trono del Palazzo Reale di Wakanda,

 

La sala era decisamente gremita. Quasi tutti i giornalisti accreditati in Wakanda erano presenti e naturalmente non mancavano le telecamere, per tacere di una diretta streaming.

Era stato allestito un podio per ciascuno dei due Capi di Stato che avrebbero tenuto la conferenza stampa.

Discosti dalle due postazioni sedevano il Primo Ministro in Carica, il Ministro della Difesa e quella degli Esteri, il Principe S’Yan, zio della sovrana, la Regina Vedova Ramonda ed i Principi Khanata e Shuri, entrambi con indosso la loro variante del costume della Pantera Nera, ma a volto scoperto.

Finalmente, da due differenti lati del salone, entrarono la Pantera Nera ed il Presidente della Federazione Panafricana, entrambi scortati dalle Dora Milaje. Due per M’Koni, ma ben quattro per Joshua N’Dingi. Quest’ultimo era noto per essere un uomo di parola, ma si sa che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.

Prendendo posto davanti al suo podio, M’Koni gettò un rapido sguardo a Khanata che di rimando accennò un sorriso. Prima o poi avrebbero dovuto parlare di quanto era successo la notte precedente, ma non era il momento.

Sperando di non apparire nervosa M’Koni cominciò a parlare:

<Sono lieta di annunciarvi che la guerra è finita. Io ed il Dottor N’Dingi abbiamo raggiunto un accordo di pace per tutta la regione che giudichiamo soddisfacente per entrambi e che in questo momento è all’esame dei Parlamenti delle nostre rispettive nazioni che confidiamo che lo approvino nel più breve tempo possibile.>

A quel punto prese la parola N’Dingi:

<Nello spirito di collaborazione che abbiamo deciso di adottare, le truppe della Federazione Panafricana si stanno ritirando non solo dal Wakanda ma anche da Azania e da Narobia, in queste ultime due nazioni il loro posto sarà preso immediatamente, su richiesta congiunta di entrambi, da squadre dello S.H.I.E.L.D. il cui compito sarà di mantenere l’ordine in attesa che in questi due Stati e negli altri componenti della Federazione si tengano libere e democratiche elezioni sotto l’egida di osservatori internazionali indipendenti, in cui i rispettivi popoli possano liberamente decidere se confermare la loro adesione alla Federazione o tornare indipendenti. Stiamo lavorando perché questo possa avvenire il prima possibile.>

Ci fu un brusio tra i giornalisti, poi si levò una voce:

<Kitty Walker per la United Press. Presidente N’Dingi, in questo momento dobbiamo considerarla un prigioniero di guerra del Wakanda?>

<Assolutamente no, Miss Walker. Mi considero piuttosto un ospite trattato benissimo ed entro breve tempo conto di essere di nuovo alla mia scrivania pronto a lavorare per il bene del mio popolo.>

Decisamente l’uomo chiamato Dottor Crocodile era un politico scafato, pensò M’Koni. Poco importava che i giornalisti o chiunque altro se la fossero bevuta, le sue parole sarebbero state comunque riportate.

 

 

Harlem, Manhattan, New York City.

 

Abe Brown entrò nell’Harlem Club e si diresse al bancone.

Il barman gli rivolse un sorriso e gli chiese:

<Il solito, Mr. Brown?>

<Fammelo doppio.> rispose Abe.

Il Barman gli preparò rapidamente il drink. Abe vuotò il bicchiere tutto d’un fiato poi chiese:

<Non è ancora cominciato lo spettacolo di Monica Lynne?>

<No ed ora che ci penso, è strano. Doveva iniziare un quarto d’ora fa.>

Un campanello d’allarme risuonò nella mente di Abe che chiese:

<Dov’è il suo camerino?>

Il barman non stette a pensarci troppo e gli indicò la strada. Senza perdere altro tempo Abe si diresse nel retro del locale e, mentre cercava il camerino, s’imbatté in Shauna Toomey, direttrice di sala del club, nonché moglie del manager del locale.

<Che ci fai qui?> gli chiese lei bruscamente <Non dirmi che cercavi me.>

Shauna aveva superato da un pezzo i 40 ma restava una donna molto attraente. Lei ed Abe erano stati a letto insieme poco tempo prima,[3] ma al momento questo era l’ultimo dei pensieri del Figlio della Tigre.

<Ho la sensazione che ci sia qualcosa che non va con Monica Lynne ed ho imparato a fidarmi di certe sensazioni> rispose.

<In effetti, ero anch’io un po' preoccupata per il suo ritardo e stavo andando a controllare. Seguimi.>

Raggiunsero insieme il camerino e Shauna bussò più volte chiamando:

<Monica!>

All’ennesima mancata risposta Abe non perse altro tempo ed aprì la porta che non era stata chiusa dall’interno.

Monica Lynne giaceva scomposta sul pavimento. Sul ripiano della specchiera c’era una bottiglia vuota di Jack Daniels[4] mentre a terra, poco lontano dalla donna c’era un bicchiere rovesciato da cui era colato del liquido ambrato.

Abe si precipitò verso la donna e si chinò su di lei.

<Che sta succedendo qui?>

A parlare era stato un uomo, afroamericano come gli altri tre, vestito con un elegante completo scuro. Dimostrava circa 45 anni e portava gli occhiali. Il suo nome era John James Toomey ed era il manager del locale, nonché marito di Shauna.

<Credo che Monica abbia bevuto un bicchiere di troppo e sia svenuta.> rispose Abe <Per fortuna non sembra essersi fatta male cadendo. Respira regolarmente, quindi niente coma etilico, direi. >

A riprova delle parole di Abe, dalla donna provenne un lieve gemito.

<Sta rinvenendo.> disse Abe.

Cominciò a sollevarla per rimetterla in piedi e Toomey accorse per aiutarlo.

<Potevo farcela da solo.> gli disse Abe.

<Non ne dubito.> replicò l’altro abbozzando un sorriso.

Toomey era uno strano tipo, pensò Abe: era il secondo in comando di Morgan, il boss del crimine di Harlem. Il lavoro di manager dell’Harlem Club era solo una facciata, anche se lui sembrava prenderlo molto sul serio. Non avrebbe esitato ad ordinare un omicidio o a commetterlo lui stesso, ma nel contempo era capace di atti generosi e disinteressati. In questo momento sembrava sinceramente preoccupato per Monica Lynne.

La cantante fu rimessa in piedi, borbottò qualcosa di incomprensibile, poi vomitò.

Toomey commentò:

<Una giacca da 250 dollari irrimediabilmente rovinata. A fare il bravo ragazzo ci si rimette sempre, Brown.>

Abe lasciò scappare una risatina.

 

 

Palazzo Reale del Wakanda.

 

S’Yan stava riflettendo. Era il più giovane dei fratelli di Re T’Chaka ed anche l’ultimo rimasto in vita, una cosa che gli pesava decisamente. Gettò uno sguardo ad una foto sul comodino accanto alla sua poltrona: un classico ritratto di famiglia con lui, sua moglie morta da tempo e suo figlio T’Shan, al momento in stato di coma vegetativo. Sarebbe mai tornato normale?

A strapparlo a quei cupi pensieri fu un discreto bussare alla porta del suo appartamento privato.

<Avanti, la porta è aperta.>  disse.

Sulla soglia apparve l’inconfondibile figura della Regina Vedova Ramonda, la seconda moglie di T’Chaka e madre di Shuri.

<Ho sentito dire che stai per partire.>  disse.

<La mia nomina a Rappresentante del Wakanda alle Nazioni Unite è ufficiale, ormai, ed ora che la situazione si è normalizzata non c’è motivo di rimandare la partenza per New York.> replicò S’Yan.

<Hai pensato che M’Koni potrebbe averti nominato ambasciatore, oltre ad aver destituito N’Gassi da Primo Ministro, perché non vuole avere intorno nessuno della vecchia guardia?>

<Se anche l’avesse davvero fatto per questo motivo, avrebbe fatto bene: è il suo regno e non ha bisogno di avere intorno gente che pensa di essere più saggia solo perché più anziana e che la tratti come se fosse sotto tutela.>

<Capisco. Varrebbe lo stesso per me, immagino.>

<A questo proposito, hai pensato alla mia proposta di venire con me a New York? Io ne sarei… felice.>

Ramonda tacque soppesando la sua risposta.

 

 

Una suite del Wakanda Hilton.

 

Il giovanotto che si faceva chiamare Jack Porter, ma il cui vero nome era John Clayton, finì di parlare alle due ragazze davanti a lui e fu la bionda di nome Lorna Halliwell la prima a chiedere:

<Adesso che intendi fare?>

<Andare a cercare mio padre e mia zia ovviamente.> rispose lui senza esitazione <Voi non preoccupatevi: la suite è pagata fino alla prossima settimana ed i vostri voli di ritorno sono già stati prenotati. Tutto a carico del Greystoke Trust ovviamente.>

<Non se ne parla nemmeno.> ribatté in tono deciso Lorna <Se pensi davvero che ti lasceremo andare da solo, allora non ci conosci davvero. Giusto, Jann?>

<Sicuramente.> convenne la bruna Jane Hastings <Dove vai tu andiamo anche noi. Credevo che fosse chiaro.>

<Io… non so cosa dire.>

<Allora non dire nulla e prepariamoci a partire.> disse Lorna <Ma a proposito, come ci arriviamo nella Terra Selvaggia? Non è esattamente dietro l’angolo e nemmeno tanto facile da trovare, a quanto ne so.>

<Un modo lo troverò.> replicò Jack.

<Forse ho un’idea.> intervenne Jann.

 

 

Gramercy Park, New York.

 

Il nome dell’uomo era Vlad Dinu, immigrato dalla Romania. Ufficialmente era un imprenditore di successo, un immigrato che ce l’aveva fatta a realizzare il sogno americano, ma dove ci sono luci ci sono anche ombre.

Vlad Dinu era in realtà Vlad l’Impalatore, capo di un’organizzazione criminale che introduceva clandestinamente negli Stati Uniti giovani donne, ma anche uomini a dire il vero, provenienti da mezzo mondo con preferenza per l’Est Europa per farle prostituire per le strade od in bordelli clandestini.

Le forze dell’Ordine federali e locali erano da tempo sulle tracce di questa organizzazione, ma solo di recente erano riuscite ad infliggerle seri colpi ed avevano anche scoperto la vera identità del suo capo.

Vlad Dinu non se ne curava troppo. I testimoni che avrebbero potuto incastrarlo non avrebbero parlato e comunque non sarebbero arrivati vivi al processo, aveva già provveduto ad assicurarsene.

C’era un’altra cosa che lo preoccupava al momento: quando aveva scoperto da dove venivano davvero i suoi soldi la sua giovane moglie Angela se n’era andata portando con sé il loro figlio ancora bambino e questo era intollerabile. La sua priorità era trovarla e punirla in modo adeguato, ma ogni sforzo era risultato vano almeno finora.

La visita che aveva appena ricevuto avrebbe potuto cambiare tutto.

Rivolse uno sguardo attento alla giovane donna davanti a lui: forse meno di trent’anni, lunghi capelli rossastri, occhiali, ma comunque decisamente attraente. Sarebbe stata un buon acquisto per uno dei suoi bordelli, ma non era lì per quello.

<È assolutamente sicura che siano lì?> le chiese.

<Senza il minimo dubbio. Ci sono stata personalmente.> rispose la donna <A parte i tre che sono con loro in questo momento, sono l’unica a sapere dove sono stati portati sua moglie e suo figlio. Nessuno al NYPD,[5] all’FBI o all’ICE lo sa.>

<Saggia precauzione, ma in questo caso gli si ritorcerà contro. Non avranno aiuti al momento opportuno.>

<E lei vuol venderci questa informazione. Perché?> chiese Nicolae, il figlio maggiore di Vlad dal suo primo matrimonio, nonché suo braccio destro nelle sue attività criminali.

<La paga di un agente federale è quello che è ed ho pensato che con la cifra che mi darete per quest’informazione potrò sistemarmi per la vita in qualche posto dove lo Zio Sam non potrà mai raggiungermi.>

<Spiegazione soddisfacente.> commentò Vlad <Ma come posso essere sicuro che non ci venderà un’informazione fasulla?>

<Guiderò personalmente i suoi uomini sul posto e se salterà fuori che ho mentito potrà farmi sparare in testa.>

Vlad scoppiò a ridere poi disse:

<Farò di meglio: verrò con lei e se mi avrà ingannato l’ammazzerò personalmente.>

<Non so se è una buona idea, papà.> obiettò Nicolae.

<Voglio chiudere di persona i conti con quella stupida troia che ha osato portarmi via uno dei miei figli.>  replicò Vlad con voce dura <E poi sono stufo di stare sempre dietro una scrivania. Ogni tanto è bene sporcarsi le mani. La cosa non è in discussione.>

Nessuno osò ribattere.

 

 

Sede provvisoria del Wakanda Design Group.

 

L’uomo poteva avere una sessantina d’anni, era completamente calvo, indossava un completo tre pezzi gessato nero, camicia bianca immacolata e cravatta regimental blu e rossa.

Il suo nome era Ishanta, era un membro del Clan della Pantera, la famiglia reale del Wakanda, ed era anche il CEO[6] del Wakanda Design Group, la società di progettazione e realizzazione di molte meraviglie dell’elettronica, nonché di velivoli straordinari  come i Quinjet in uso ai Vendicatori ed i cosiddetti Bus che lo S.H.I.E.L.D. usava come veri e propri uffici viaggianti.

Davanti a lui stavano seduti tre giovani bianchi: un ragazzo e due ragazze. Le ragazze erano molto attraenti e se avesse avuto vent’anni, no, facciamo trenta, e cinquanta chili di meno avrebbe anche potuto farci un pensierino.

Ishanta scacciò quei pensieri e si rivolse al ragazzo:

<Ricordo benissimo il veicolo ordinato da suo padre, Mr. Clayton: una nave multifunzione capace di diventare all’occorrenza un sottomarino.  Mi sta dicendo che ne vorrebbe una simile.>

<In realtà pensavo a qualcosa di più piccolo e maneggevole. In fondo siamo solo in tre.>

<Pensa di saperlo pilotare da solo? Uno di voi tre ha una patente nautica? Non parlo dell’abilitazione a pilotare un motoscafo, sia chiaro.>

Silenzio dall’altra parte.

<Lo supponevo, tuttavia, credo di poter risolvere il vostro problema.>

Ishanta si alzò dalla sua poltrona e disse ai suoi tre ospiti:

<Se volete seguirmi…>

Ishanta si alzò seguito dai ragazzi e li guidò lungo un corridoio fino ad un laboratorio dove un uomo calvo e con gli occhiali stava esaminando dei dati su uno schermo:

<Hai un minuto, N’Lix?> gli chiese.

<Veramente sarei impegnato.> rispose l’altro <Ma suppongo di non avere altra scelta che darti retta visto che sei il capo qui dentro.>

Ishanta sogghignò e si rivolse ai ragazzi:

<N’Lix è il nostro Ingegnere Capo. Da  qualche parte deve aver letto che gli scienziati geniali appartengono in genere a due categorie: i distratti e gli scontrosi. Lui ha scelto di appartenere alla seconda.>

<Se hai finito di fare del pessimo sarcasmo, potresti finalmente dirmi perché sei venuto a disturbare il mio lavoro e chi sono questi giovanotti?>

<Hai ragione: ti presento l’Onorevole John Clayton, Miss Lorna Halliwell e Miss Jane Hastings. Hanno un problema che potresti trovare interessante.>

Ishanta spiegò le esigenze di Jack Clayton e delle sue amiche ed alla fine N’Lix disse:

<In effetti, abbiamo appena ultimato una versione più piccola e veloce del vascello che abbiamo ceduto al Greystoke Fund. Funziona praticamente quasi senza equipaggio e può raggiungere l’Antartide in pochissimo tempo. Potete, però, scordarvi che l’affidi a dei dilettanti.>

<Stesso parere.>  convenne Ishanta <Per questo avevo pensato a M’Daka.>

<Mmm sì, ottima scelta. Se sarà lui a pilotare, non vedo problemi.> replicò N’Lix poi si rivolse ai ragazzi:

<Quanto vi ci vuole a prepararvi alla partenza?>

<Siamo già pronti.> risposero i tre quasi all’unisono.

 

 

Harlem, Manhattan, New York City.

 

Con l’aiuto di John James Toomey Abe Brown riuscì a portare Monica Lynne fino alla sua auto ed a metterla nel sedile posteriore.

<Sicuro di volerlo fare?> gli chiese Toomey <Dopotutto non è una tua responsabilità .>

<Devo avere l’istinto del buon samaritano. Mi viene spontaneo aiutare le persone in difficoltà, che posso farci?> rispose Abe <Tu, piuttosto, perché hai voluto darmi una mano?>

Toomey sogghignò e rispose a sua volta:

<Sto solo proteggendo un mio investimento. È Monica ad attirare la maggior parte dei clienti dopotutto.>

Forse perché erano troppo impegnati a sistemare Monica nell’auto i due si accorsero solo in quel momento che un gruppetto di una mezza dozzina di energumeni si era avvicinato loro e li aveva praticamente circondati. Erano tutti di colore, vestiti in stile gangsta, in mano avevano delle spranghe e sulle nocche dei tirapugni, appese a fondine ascellari sotto le giacche oppure alle cinture avevano anche delle pistole. Era più che evidente che avessero cattive intenzioni.

<Che diavolo fate qui?> li apostrofò Toomey in tono autoritario <Lo sapete chi sono? Vi conviene filare finché siete in tempo.>

<Sta' calmo, vecchio.> replicò uno del gruppo <Non ce l’abbiamo con te, dobbiamo solo dare una bella lezione a questo tizio. Ha pestato i piedi alle persone sbagliate.>

<Anche voi, adesso.> ribatté Abe.

Un attimo dopo scattò e prima che chiunque potesse abbozzare una reazione stese uno degli avversari con un calcio rotante poi, ricadendo a terra, ne abbatté un secondo. Bloccò con il gomito il tentativo di un altro di colpirlo e gli sferrò un colpo di taglio alla carotide. L’uomo cadde senza un gemito. Altri due gli si precipitarono addosso, ma lui si appoggiò alla sua auto e sollevò di scatto le gambe sferrando loro un calcio alla mascella.

L’ultimo uomo rimasto in piedi lo prese di mira con la sua pistola, ma a questo punto intervenne Toomey che gli sferrò un poderoso pugno al mento spedendolo dritto a terra.

Abe si voltò verso di lui e disse:

<Grazie.>

<Di nulla.> replicò Toomey <Sono certo che te la saresti cavata ugualmente, ma questo idiota mi aveva dato del vecchio e la cosa non mi è piaciuta.>.

<Sai chi sono?>

<Mai visti prima, ma scommetterei che appartengono alla gang di Leroy Tallon. Non deve aver gradito come l’hai trattato qualche giorno fa.>[7]

<Peggio per lui, non ci perderò il sonno. Che ne facciamo di questi idioti? Immagino che chiamare la Polizia sia fuori questione.>

<Potrei anche farlo invece. Il mio è un locale rispettabile dopotutto. Per loro sarebbe meglio finire in una  cella invece di…> Toomey lasciò la frase in sospeso e disse <In ogni caso, non è una preoccupazione tua. Pensa a portare Miss Lynne al sicuro piuttosto… e ricordami di non farti mai arrabbiare.>

 

 

Palazzo Reale del Wakanda.

 

Era stata una dura giornata, pensò M’Koni. Aveva dovuto sistemare molte cose ed ora sentiva il bisogno di un po' di relax.

Joshua N’Dingi, il Dottor Crocodile, era ripartito per la sua capitale scortato da quattro Dora Milaje e da un drappello di soldati wakandani. Ufficialmente una guardia d’onore, ma in realtà avevano il compito di sorvegliarlo ed assicurarsi che rispettasse davvero gli accordi di pace. 

Una preoccupazione di meno, almeno per il momento.

C’era stata anche una riunione del Gabinetto di Governo, ancora formalmente presieduta da lei, anche se il potere effettivo era ormai quasi tutto nelle mani di Taku.

Erano state prese diverse decisioni sulla ricostruzione e sulla data delle prossime elezioni che si prospettavano molto combattute. Se avesse vinto il Partito Desturi che sarebbe successo?

Ma queste erano preoccupazioni per un altro giorno.

Prima di andare a dormire, cosa che non era sicura di riuscire a fare facilmente, M’Koni aveva deciso di concedersi qualche momento di relax nella spa del palazzo.

Era entrata da poco nella vasca idromassaggio che sentì il rumore di una porta che si apriva.

<Khanata?> disse un po' speranzosa.

<Mi dispiace di deluderti, cara cugina…> disse una voce che le era ben nota <… ma non sono chi speravi… purtroppo per te.>

Il Lupo Bianco era tornato in Wakanda.

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DELL’AUTORE.

 

 

            In realtà non c’è molto da dire. Questo è sostanzialmente un episodio di passaggio in cui si chiudono alcune trame e si gettano le basi per nuove.

1)    Piccola nota esplicativa: nel sistema nobiliare britannico i figli maschi cadetti dei Conti, nonché i figli e le figlie di Visconti e Baroni hanno il diritto di usare il prefisso Onorevole prima del nome ma solo nel discorso indiretto. Quando ci si rivolge loro direttamente si usa Mr., Mrs. o Miss a seconda dei casi.

2)    Amelia Baronessa Croft e Contessa Vedova di Wickenham è liberamente basata sulla madre di un noto personaggio dei videogiochi protagonista anche di film e fumetti per varie case editrici. In MIT non si è ancora vista, ma non si può mai sapere.

3)    E così abbiamo svelato, per quei pochi che non l’avessero ancora capito, il vero nome di Jack Porter che è il discendente di quinta generazione di un iconico Signore della Jungla. Chi ha letto gli ultimi episodi di Jungle Savage ha conosciuto anche suo padre e sua zia nominati nella storia. Sarà proprio in quella serie che rivedremo Jack e le sue amiche che si apprestano a lasciare queste pagine.

4)    Per chi si chiedesse dove fosse la Fantastic Force durante le recenti crisi, beh, era impegnata altrove e forse un giorno vi diremo a fare cosa. -_^

Nel prossimo episodio: elezioni in Wakanda e non saranno una passeggiata; la tensione cresce a Harlem; S’Yan arriva a New York; il tanto atteso confronto tra il Leopardo Nero ed Ivan il Terribile e molto di più.

 

 

Carlo



[1] Immigration and Custom Enforcement, la forza di polizia federale degli Stati Uniti che si occupa della violazione delle leggi sull’immigrazione e sulle dogane.

[2] La scuola frequentata dai figli dell’attuale Principe di Galles.

[3] Vedi lo scorso episodio.

[4] Nota marca di whisky, ma suppongo che lo sappiate già.

[5] New York Police Department.

[6] Chief Executive Officer, ovvero l’amministratore capo.

[7] Nell’episodio #13.